La vita e l’opera di Artemisia sono profondamente legate, o almeno lo sono per noi, che abbiamo inserito la figlia di Orazio Gentileschi tra i grandi della pittura solo molto di recente, recuperando innanzitutto la vicenda processuale del suo stupro come uno dei primi esempi di femminismo. La verità è che Artemisia resta, ancora oggi, una figura molto misteriosa, su cui si sa relativamente poco. Quello che essa fu davvero lo si può ricostruire in parte dalla lettere riemerse di recente, dalle quali viene fuori l’immagine di una donna sicura del proprio ruolo, una pittrice consapevole della propria arte, una commerciante che vende e promuove la propria opera con sfacciata sicurezza. Ne vengono fuori, però, anche le sue debolezze, il suo desiderio di un amore vissuto intensamente, la sua gelosia e le sue paure. A Napoli si conserva il dipinto più famoso di Artemisia, quel “Giuditta e Oloferne” che faceva impallidire i suoi contemporanei per la crudezza della rappresentazione; a Napoli, Artemisia visse trent’anni e morì in un giorno imprecisato del 1653. Ma quali tracce ha lasciato Artemisia a Napoli, oggi? Molto poche. Il nostro spettacolo parte da qui, da Napoli, dove Artemisia si è rifugiata molti anni prima: la pittrice è alla fine della sua carriera, stanca, disillusa. Senza alcuna spiegazione apparente, Artemisia viene costretta da un magistrato a raccontare ancora una volta i particolari di quel giorno del 1612 quando il pittore Agostino Tassi, amico e collega di Orazio Gentileschi, la violentò nella sua casa romana. La donna credeva di aver chiuso i conti con quella storia al termine del processo che condannò Agostino Tassi per stupro, ma scopre adesso che tutta la sua vita e la sua stessa opera ne sono state segnate troppo in profondità. Artemisia è obbligata a confrontarsi con le sue paure, i suoi dubbi, i suoi desideri di gloria, di affermazione di sè come artista prima che come donna. In un mondo dominato dai maschi, Artemisia scopre che le è preclusa ogni libertà e autonomia. Perfino la sua arte viene interpretata come un continuo ritorno sul tema della violenza e della vendetta, dello stupro e della castrazione. Artemisia credeva di essere diventata libera grazie all’arte, adesso scopre che era la sua prigione.
scritto e diretto da
Mirko Di Martino
con
Titti Nuzzolese
Antonio D’Avino
costumi
Annlisa Ciaramella
aiuto regia
Laura Cuomo
foto di scena
Marco D’Alessandro
ufficio stampa
Hermes Comunicazione, Napoli
Lo spettacolo è stato realizzato con il contributo della Fondazione Forum Universale delle Culture di Napoli e ha debuttato in anteprima nazionale al Cubo d’Oro presso la Mostra d’Oltremare di Napoli il 26 ottobre 2014